La diagnosi è di quelle che non danno scampo, dopo il percorso di guarigione torna a giocare con ancora più motivazioni.
A salvarlo, come da sua stessa ammissione, è stato l’amore per il calcio. L’esordio nel massimo campionato a 17 anni, un predestinato che però ha visto il suo talento progressivamente opacizzarsi. Prima viene acquistato come futuro craque poi abbandonato per le prestazioni fin troppo deludenti, alla base del calo imrpovviso una malattia che lo stava per uccidere.
Tutto è iniziato con una semplice emicrania, poi si sono aggiunti i problemi alla vista e infine le difficoltà in campo. Ha atteso troppo a lungo prima di farsi visitare, forse spinto da quel sentimento d’invincibilità proprio dell’età giovanile. Il responso dei dottori è abbastanza tragico, in una manciata di giorni finisce in coma e le sue possibilità di farcela si assottigliano col passare delle ore.
Il fastidio che il calciatore provava era causato da una forma grave di meningite, che lo ha costretto a lottare tra la vita e la morte per diverse settimane attaccato a una macchina. Pochi segnali dal cervello, a sopravvivere in quei giorni è il cuore: “Sapevo di essere vivo, nonostante non riuscissi a comunicare. Ho pensato al suicidio ma ero impotente, schiavo di un apparecchio che stava solo prolungando la mia sofferenza”, ha raccontato.
Quattro mesi dopo si risveglia, Yves Vanderhaeghe atterra nuovamente sulla Terra al termine di un viaggio lunghissimo. Il miracolo si consuma proprio quando i medici lo avevano dato per spacciato – la famiglia stava già valutando la donazione degli organi. Tra l’incredulità e la gioia, due anni dopo torna a giocare a calcio, firmando un contratto con l’Excelsior Mouscron. Arretra di qualche posizione in campo dopo la malattia, da quasi centravanti quale era: “Mi sono reso conto che quella sarebbe stata la mia vocazione, nel letto d’ospedale ho imparato a combattere”.
Confeziona la rinascita diventando un pilastro dell’Anderlecht, contribuisce alla vittoria di uno scudetto e due supercoppe nazionali. A quasi trent’anni poi conquista anche un posto in Nazionale con il Belgio, esordì nel 1999 contro il Perù esattamente dieci anni dopo il ricovero – era il 30 maggio. Ai Mondiali di calcio del 2002 non andò oltre gli ottavi, nonostante una sontuosa prestazione contro il Brasile pieno zeppo di fenomeni, la stessa squadra che in finale avrebbe alzato la coppa contro la Germania.
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