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Azienda e lavoro possono essere considerati ‘famiglia’? La risposta ti cambierà la giornata, parla l’esperto

Lavoro e famiglia sono la stessa cosa? Ecco la risposta che potrebbe sorprenderti e che non ti aspetti per niente

Spesso si tende a pensare al lavoro come se fosse la propria famiglia, una vera e propria tendenza che si sta diffondendo nel mondo del lavoro.

Azienda e lavoro possono essere considerati ‘famiglia’? La risposta ti cambierà la giornata, parla l’esperto- illecce.it

Un atteggiamento che sembra essere qualcosa di positivo, ma che in realtà è davvero tanto tanto controproducente sia per i lavoratori che per l’azienda stessa. In primis si può pensare che pochissime persone desiderano una famiglia all’infuori della propria.

Forse può capitare a chi non ha molti affetti intorno di rivedere nell’ambiente lavorativo un supporto, un conglomerato di affetti messi tutti insieme. Ma la realtà è molto distante da quella che appare e questo comportamento risulta essere davvero disfunzionale.

Lavoro e confine con la vita privata: quando i due aspetti si fondono

Quando la vita privata si fonde con il lavoro succede – inevitabilmente – che si venga a contare su risorse, che sembrano essere sempre disponibili al di fuori del lavoro. Ma ciò non accade in una vita che si svolge in maniera normale, figuriamoci per chi ha tempi molto ristretti ed è pieno di impegni.

Azienda e lavoro possono essere considerati ‘famiglia’? La risposta ti cambierà la giornata, parla l’esperto- ilecce.it

Essere onnipresenti, sempre sull’attenti vuol dire non poter vivere una propria vita a casa al di fuori del lavoro. Vi è la costante pressione del telefono aziendale, che potrebbe squillare da un momento all’altro. Questa situazione non è assolutamente accettabile e, se si è entrati in questo vortice, forse sarebbe meglio riflettere, prima di continuare fino a che la situazione diventi insostenibile.

Il fatto che i collaboratori vedano l’azienda come una famiglia permette ai superiori di richiedere impegno anche al di fuori dell’orario lavorativo, compresi i giorni festivi. Tutto viene vestito da “emergenza”. Ovviamente non si tratta tanto di “avere un grave problema da risolvere”, quanto di aver abituato male i propri interlocutori, che pretendono anche in orari e giorni non consoni.

Non solo, la tendenza di attirare a sé collaboratori per farli entrare nella grande famiglia lavorativa si vede anche da inviti a cena, aperitivi post lavoro o colazioni prima del lavoro, pranzi in pausa, eccetera. Ciò può avvenire da parte del “capo” o di quel collega che nulla ha oltre l’ufficio, perché per quest’ultimo soprattutto è importante mantenersi ancorato all’unica cosa che funziona nella propria vita.

Scavando, senza voler andare a ledere la privacy altrui, si capirà come dietro queste persone ci siano rapporti deboli, vite monotone e solitarie. Non solo, la tendenza errata per eccellenza è quella di etichettare come sbagliati i colleghi che rispettano l’orario di lavoro, ma non si trattengono oltre in ufficio.

Questo non è assolutamente accettabile, visto che la produttività di una persona si vede nelle ore lavorative (nelle quali non si schiamazza, non ci si lamenta, non si parla in eccesso delle proprie passioni e delle proprie faccende e non si gioca in continuazione) e non in quelle in cui non competono e che non vengono remunerate. Oltre al fatto che si scade nel mobbing…

Lo scopo del lavoro è quello di consentire di vivere, attraverso i guadagni, un’esistenza ricca di gioie e di progressi e successi personali. Non ha senso, infine, parlare male di chi lascia il lavoro in orario, anzi bisognerebbe elogiare questo comportamento consono. Non solo, anche il trattare male, offendere ed evitare alcuni colleghi a lavoro è controproducente. Questo perché al di fuori dell’azienda – di certo – l’ex collega non indirizzerà altre persone verso quel dato collaboratore per prestazioni e/o altro, non farà, quindi, una buona pubblicità. E il problema diviene di chi resta, non di chi va.

Guendalina Bonito

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